giovedì 12 maggio 2016

Storia della chirurgia: parte seconda



Mi sto prendendo un po’ di tempo per pubblicare i post ultimamente, visto che sono stata sommersa da esami e lavoro. A breve partirà anche una parte dedicata alle poesie che spero vi piacerà!

E dunque veniamo a questa nuova puntata. Devo ammettere di essere sempre più entusiasta di questa storia! La chirurgia è davvero un’arte, specialmente se la si conosce e la si pratica. Personalmente posso dirvi che mette molta ansia e richiede manualità, nervi saldi e concentrazione. Ma sono ancora alle prime armi in questo campo, spero però un giorno di diventare una maestra, anche se si tratta di animali.

Nella prima puntata abbiamo visto com’è nata la chirurgia, molto brevemente. Vi ho parlato degli egizi e dei greci, di come fossero primitive le loro tecniche chirurgiche (per non parlare di quelle mediche in generale!) concludendo con la teoria degli umori di Ippocrate, padre della stessa medicina. Oggi dunque riprendo proprio da lui e dai suoi seguaci e arriverò fino al periodo buio della scienza: il Medioevo.

E quindi non posso che augurarvi buona lettura ;)



Storia della chirurgia: 2ª parte

Dalla Roma imperiale al Medioevo


La civiltà ci ha sottratti alle spade, per farci meglio sentire la paura dei chirurghi.

Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, 1979

Il primo chirurgo da ricordare ai tempi della Roma antica è Celso, che nel I secolo d.C. importò tecniche chirurgiche dai greci, operando con un discreto successo calcoli vescicali e cataratta. Fu il primo personaggio della storia latina a scrivere un trattato di medicina, il De Re Medica dove narra le diverse tecniche chirurgiche e strumenti utilizzati, trattamenti per fratture, ferite di guerra ed emorragie e descrive il personaggio de chirurgo ideale:

Il chirurgo deve essere non lontano dalla giovinezza, avere la mano ferma e rapida, non esitante, e rapida la destra come la sinistra; vista acuta e chiara, aspetto tranquillo e rassicurante, il cui desiderio sia quello di curare il paziente e, a sua volta, non lasciare che le sue grida lo facciano esitare più di quanto non richiedano le circostanze, né tagliare meno del necessario e agire come se fosse indifferente alle urla del paziente.

Leggendo la descrizione potete immaginare che il prospetto non fosse dei migliori: la sopravvivenza dei pazienti era molto bassa, e l’uso di anestetici o antidolorifici non era d’uso comune. Infatti tra il 650 a.C. e il 393 d.C. le tecniche per anestetizzare i pazienti prevedevano portare i pazienti nelle prossimità di siti geologici, considerati sacri in molti casi come il Tempio di Apollo a Delfi, situato vicino a una faglia da cui fuoriusciva ossido di etilene.
Si pensava che appoggiarsi all’aiuto degli Dei per operazioni complesse, e specialmente se implicavano personaggi importati, favorisse il successo della chirurgia e questo è vero in parte. L’ossido di etilene infatti viene usato ancora oggi per sterilizzare materiali chirurgici, poiché ha un’azione battericida e fungicida. Inoltre quella che veniva riconosciuta come “anestesia” non era altro che l’effetto dei gas naturali respirati, come per esempio anidride carbonica, metano, solfuro di idrogeno, azoto, ecc.

In alternativa ai gas inalati, pratica più comune per effettuare un’anestesia comprendeva l’utilizzo di radici di mandragora bollite nel vino per provocare uno stato di incoscienza e insensibilità nelle persone che dovevano sottoporsi a interventi. Questo metodo però fu introdotto solo a partire dal 64 d.C. da Dioscoride, medico e botanico greco che fu anche chirurgo nell’esercito di Nerone.

Un secolo dopo Celso è il turno di Sorano di Efeso, di origini greche, fondatore dell’ostetricia e la ginecologia, autore di un trattato “Sulle malattie delle donne” e promotore di nuovi metodi per il trattamento di fratture e l’applicazione di bendaggi. Galeno, dopo Sorano, fu uno dei medici più importanti nell’antica Roma: descriveva la chirurgia come la “terza via” della medicina, ossia la terza soluzione, dopo la dietetica e i farmaci. Ma come medico apparteneva ancora alla vecchia scuola di Ippocrate, basata sulla teoria degli umori per cui l’origine delle malattie si poteva attribuire ai diversi stati umorali, alla personalità. Molti furono i suoi errori da un punto di vista medico e chirurgico, ma bisogna considerare anche che a quei tempi gli studi sull’anatomia umana erano difficoltati dalle leggi romane, che proibivano le autopsie sulle persone.  La chirurgia quindi era l’unico metodo per descrivere e studiare l’anatomia umana.

Coetaneo di Celso, Areteo di Cappadocia fu anche lui un chirurgo, seppur di poca fama, e apportò una notevole evoluzione alla medicina e alla chirurgia: descrisse infatti per primo il diabete, la celiachia, il tetano e l’epilessia, oltre ad essere stato uno dei primi a interessarsi di psicologia descrivendo i disturbi bipolari della personalità, fobie (come l’agorafobia).
Si interessò inoltre di emicrania e cefalee, studia la difterite, l’asma e molto altro ancora.

La melanconia costituisce l’inizio della Mania e ne è parte integrante […]. Lo sviluppo della Mania rappresenta un peggioramento della melanconia piuttosto che il passaggio a una patologia differente.
Areteo di Cappadocia, De causis et signis acutorum morbum

Areteo però viene quasi dimenticato, con i suoi trattati e le sue innovazioni. La medicina continua a evolvere ma non in ambito chirurgico, dove le innovazioni sono davvero pochissime e influenzate solo dalla scoperta di nuove patologie come gli aneurismi.

Per secoli si continuerà a seguire gli insegnamenti di Galeno, di cui vi ho parlato nella precedente puntata, e qua giungiamo al V secolo d.C., inizio di un’epoca in parte buia per le scienze, il Medioevo. Sono i monaci che in questo periodo esercitano la chirurgia nei conventi, fino al momento in cui la Chiesta non pone un veto sull’esercizio di questa scienza, dovuto al fatto che la guarigione fosse considerata un intervento divino.


Così la chirurgia si ferma improvvisamente, finché nella scuola di Salerno non inizia a svilupparsi una forma di medicina laica. Lì veniva esercitata da ebrei e laici anche su cadaveri, che però acquistano la cattiva fama di “cavadenti”, “conciaossa” e ciarlatani.
La chirurgia quindi si apre a tutti i curiosi, letterati, istruiti e non, come i norcini, macellai di maiali originari di Norcia, in Umbria, che si cimentarono con un discreto successo nella chirurgia del tempo.

Se nel mondo cristiano medievale la chirurgia si era bloccata, nel mondo arabo si stava sviluppando grazie a medici come Albucasis che nel X secolo introdusse e descrisse il concetto di traumatologia e chirurgia specialistica, scrivendo diversi trattati dedicati a questo mondo e persino un’enciclopedia dedicata alla medicina e alla chirurgia.

Nel feudalesimo permane il veto della Chiesa, quindi la medicina e la chirurgia vengono insegnate solo a livello teorico nelle scuole e università ma fortemente influenzata dalla dottrina cristiana.
Dopo la scuola di Salento si fondano altre università per istruire gli uomini sulla medicina e la chirurgia, una delle più importanti fu quella di Bologna che vede tra i docenti figure come Guglielmo da Saliceto, folle medico che cercò di divulgare le sue teorie in merito alla chirurgia, sostenendo per esempio che per curare un cancro bisognava estirpare l’organo intero, poiché causato dal sangue “melancolico” delle vene adiacenti. La teoria dell’umore non era ancora stata abbandonata.
Si distingue però uno dei suoi alunni più brillanti, originario di Firenze, conosciuto come Lanfranco da Milano, che a causa della guerra tra Guelfi e Ghibellini, fu costretto a scappare in Francia, a Lione: il suo successo fu talmente grande che divenne presto il chirurgo personale di Filippo il Bello, venendo sostituito da Henri de Mondeville che cercò di unificare la medicina come sapere con la chirurgia. Fu il primo chirurgo a imbattersi nelle ferite da armi da fuoco, introdotte dagli inglesi nel 1346 durante la battaglia di Crecy, nonché una delle più importanti della guerra dei cent’anni.



A quei tempi per tranquillizzare i pazienti venivano ancora utilizzate sostanze ricavate dalla mandragora e altre erbe, in una preparazione chiamata Spongia soporifera, che non si trattava altro che di una spugna imbevuta di estratti ricavati da erbe medicinali e oppio. Da un punto di vista anestetico, non era stato ancora fatto nessun passo avanti.

Siamo ormai alla fine del XIV secolo, il Medioevo sta tramontando: in Inghilterra si scrivono trattati sugli errori commessi durante le operazioni chirurgiche e le differenze tra medici e chirurghi, fino a giungere nel 1368, anno in cui a Londra viene fondato l’Ordine dei chirurghi, per separare i medici specializzati dalle altre classi sociali di apprendisti, come i barbieri che si definivano cerusici (sinonimo antico di chirurghi), addetti all’estrazione di denti, salassi e altri piccoli interventi che però con i metodi del tempo risultavano dolorosissimi e spesso fatali.
Ma di questo e altro ve ne parlerò nella prossima puntata.

Spero vi sia piaciuto questo articolo, per eventuali approfondimenti non esitate a chiedere!
Per chi fosse interessato aggiungo il link ad alcuni libri e articoli in fracese e in inglese, scaricabili in PDF, piuttosto datati, ma che potrebbero interessarvi:

6 commenti:

  1. Ciao Anna,
    Davvero interessante questo articolo, ci sono un sacco di cose che non sapevo.
    Quindi stai facendo pratica di chirurgia?

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    1. Vero? È una storia interessante ma molto complessa e piena di sfumature su cui non mi soffermo troppo.
      Si ho iniziato semplici pratiche di chirurgia nell'ospedale della mia università, quest'estate però inizio il mio tirocinio e farò più pratica :)

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    2. È un'ottima cosa. Il nostro tirocinio ha fatto ridere i polli. Praticamente non abbiamo fatto nulla e sono pochissime ore... se non ci attrezziamo autonomamente praticamente usciamo dall'università senza saper fare una sottocutanea... -_-

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    3. Decisamente! Mi è stato detto in effetti che è molto difficile assumere neolaureati in veterinaria italiani perchè mancano tremendamente di pratica ed esperienza o proprio non hanno mai messo piede in una clinica. Il che è assurdo, francamente, com è possibile che il sistema universitario non offra la preparazione pratica fondamentale per una buona professione? Ma ancora peggio, com è possibile che nessuno abbia voglia di imparare il proprio lavoro e formarsi?
      A me sembra assurdo...

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    4. A dire il vero noi la voglia ce l'avremmo, è che non ci danno la possibilità di fare pratica in facoltà, infatti spesso e volentieri siamo noi stessi che chiediamo ad amici veterinari di prenderci a fare un po' di praticantato....
      No, non è assurdo... di più.

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    5. No no ma infatti distinguo le ''due'' categorie di studenti, cioè quelli che non hanno voglia di fare niente (e spesso è gente rifiutata a medicina o altre università che si arrangia) o chi vorrebbe ma non ne ha la possibilità. È davvero un grosso dispiacere perchè la nostra professione rappresenta uno dei capi saldi della società! E al di là di questo ci vuole voglia e passione... e molta, molta forza e pazienza!

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