martedì 31 maggio 2016

Il viaggio di Anna


Oggi cambio tema e faccio un post personale. Lo so di solito parlo di scemenze o delle solite cose, quindi improvviso questo post così alla veloce prima di riprendere a studiare. Voglio parlarvi dei posti più belli che io abbia mai visitato, o meglio, quelli che mi sono rimasti nel cuore. Portate pazienza e godetevi questo papiro di storie e avventure!

Mi è sempre piaciuto viaggiare, specialmente con i miei amici o i miei genitori. Mi sono affezionata a 2 posti in particolare, che mi hanno rubato il cuore: l’Irlanda e il Perù. Quindi vi parlerò soprattutto di questi.

E allora iniziamo: a quanti di voi piace viaggiare?



Io di paesi ne ho visitati, molti, nonostante la mia breve vita, se non per ragioni di lingua o vacanza per lavoro. E perché no, anche per studio visto che mi trovo temporaneamente in Spagna per l’università. Sono stata in Francia, sulle sue coste e nei suoi castelli, sulle sue montagne, come su quelle svizzere. Sono volata fino nella gelida e triste Danimarca travestendomi da Leonardo da Vinci che “allenava” Michelangelo (interpretato da Simona, una mia cara amica con la pazienza di una santa) con Eye of The Tiger come sottofondo, e dalla madre di Bohr per degli stupidi video; sono andata in Croazia, dove mi sono tuffata da una graziosa barca per nuotare tra stelle marine e pesci colorati in mezzo al mare. Ho volato sulle ali un kitesurf nell’ oceano Atalntico, alle Canarie e ho visto il tramonto al Café del Mar di Ibiza con una mia cara amica che mi aveva ospitata nella sua casa.


E dopo le tante vacanze rilassanti o scolastiche arrivano i viaggi per me più significativi.

 A 16 anni decisi di andare a Londra per migliorare il mio inglese e cercare un lavoro estivo che mi permettesse di mettere qualche soldo da parte. Esperienza molto istruttiva, che mi ha fatto pensare molto. Ho passato due mesi nella capitale britannica a lavorare come cameriera nel centro, in uno dei locali più votati su TripAdvisor (cosa che mi sorprende molto), andando a scuola di inglese la mattina.

È stano tremendamente faticoso. Il primo mese vivevo nella periferia londinese, lontana dal centro e dalla scuola e avrò dormito una media di 4 ore a notte. La prima settimana mi sono ambientata, ho
Questa era una tabella dei turni settimanali,
dove C sta per chiusura, ossia a orario tra le 3 e
le 5 del mattino
iniziato il corso e conosciuto persone fantastiche, vissuto Camdem Town, visitato il meraviglioso Natural History Museum, comprato quintali di libri e ho fatto qualche colloquio. Devo dire che al sentirmi chiedere “sei fidanzata? Pensi di rimanere qua a vivere? Cerchi marito?’’ per essere assunta è stato snervante. Al terzo finalmente sono stata assunta in un locale di cui ometto il nome per ovvie ragioni. Con la promessa di 200 sterline a settimana (che aumentavano di 10 fino a raggiungere un massimo di 250), un minimo di 56 ore lavorative settimanali e un giorno libero scelto dal capo accettai. E qua potrei benissimo dire: “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare’’.


Ho imparato davvero molto da quell’ esperienza. Per esempio, sapevate che il vino rosé si fa diluendo vino rosso con bianco? Io no! Avrei molto, troppo da ridire sulle condizioni igieniche dei locali londinesi, che mi hanno fatto davvero vomitare (ma davvero!). Topi che giravano in cucina, profiteroles rancidi serviti o caduti per terra e rimessi sul vassoio, spremute di arancia diluite con il cartone del supermercato, carne scaduta e servita ai tavoli, pasta precotta e conservata aperta in mezzo alla cucina e tirata in padella con il condimento. Per non parlare del carrello dei dolci, che è stata la cosa forse più disgustosa che abbia mai visto in vita mia: appartenente al XIX secolo e soprannominato dalle mie colleghe “il settimo figlio di Mr. Roger’’, aveva due dita di muffa su un ripiano ed era mezzo ghiacciato sull’altro. Nota: rimuovere la frutta ammuffita dalla macedonia non la rende fresca, come nemmeno aggiungerne altra per coprirla.

Ahhhh poi potrei parlare del mio capo per giorni! Uno stronzo coi fiocchi. Turco, proprietario della maggior parte dei locali centrali di Londra (insieme alla sua famiglia), falso come pochi ma ammetto che sapeva giocarsi bene le sue carte. Insieme alla seconda capa mi chiamavano “our golden goose’’ visto che facevo un minimo di 100 sterline di mancia a sera, che si intascavano loro, e visto che ero italiana, molto socievole e apprezzata dai clienti (che tornavano spesso o chiedevano espressamente di me). Insomma, il mio gruzzoletto me lo sono messa da parte, più di quanto una qualunque cameriera 16enne avrebbe mai guadagnato in Italia probabilmente, ma turni da 10-12 ore in piedi se mi andava male, fatti in gonna e paperine sono da suicidio.

In compenso ho imparato a diffidare da certe persone. Pensate una volta sono anche stata scambiata per una prostituta da un coreano mentre davo volantini. Ho conosciuto persone meravigliose da tutto il mondo e sono ancora amica di una meravigliosa famigliola svedese con cui scambio lettere e disegni ogni tanto. Ho anche visto la parte corrotta di Londra: andiamo, nessun napoletano a cui devo prestare particolare attenzione e servirlo con ingredienti apposta per lui parlando esclusivamente italiano, ritirerebbe mai da un proprietario di ristoranti una somma di denaro mandando uomini due volte a settimana senza un motivo, non me la bevo.

Ma concludo con questa mia microbiologica esperienza (termine decisamente appropriato) e passo ad altro.

Un luogo mi ha rubato il cuore per primo: l’Irlanda. Ci sono stata in vacanza per due anni di fila alle medie e mi sono innamorata delle sue lande verdi, dell’incantevole pioggia che dava alla terra e alla natura la brillantezza di una pietra preziosa. Cork, Waterford e i loro dintorni mi hanno rubato l’anima con i loro cavalli, la loro quiete. Il secondo anno che ci andai, poi, presi la prima cotta della mia vita per un ragazzo più grande, con cui passai dei momenti fantastici, anche se bizzarri. Cara Irlanda, sei riuscita a donarmi dei ricordi meravigliosi!



Il secondo posto che mi ha rapita ha costituito una parte della mia tesina di maturità (molto personale e bella, a tema “Il Viaggio”,chissà, forse un giorno la condividerò con voi) si trova in un altro continente, a più di 1400 km di distanza dalla mia casa. Si tratta della Foresta amazzonica. A 17 anni seguii mio padre a un congresso di medici e veterinari di fama mondiale, leader industriali e ricercatori pazzeschi, in Perù, a Lima. Il congresso era di 4 giorni e gli organizzatori non sono stati economici, diciamo. Mi ricordo ancora il giorno quando mio padre mi chiese di andare con lui, era una sera di marzo:


-      Anna senti, mi hanno chiesto di andare a Lima, tutto pagato in prima classe per una persona o per due persone in seconda classe. Andarci da solo non mi va, e se ci andassimo insieme?

E poi ancora:

-     Stare lí solo per 4 giorni non ne vale la pena, e se allungassimo di una settimana e visitassimo qualche posto? Non so Machu Picchu o la Foresta Pluviale… cosa preferiresti? […] Ah ma tanto lo sapevo che avresti scelto di andare a caccia di anaconda in mezzo alla pauta amazzonica!!!

È stato uno dei viaggi più belli della mia vita e attendo con ansia di terminare i miei studi per poter far parte di quella associazione come socio e non accompagnante questa volta. Ho parlato con persone fantastiche, al diavolo il mio inglese (che al tempo era lievemente maccheronico), conosciuto premi Nobel, geni della medicina e proprietari di centri di ricerca, università, che se ci penso ancora oggi mi commuovo per tale opportunità. Non sarò mai grata abbastanza ai miei genitori per aver avuto tutto, per quello che hanno fatto per me.

In quei quattro giorni nella capitale peruviana ho visto cosa veramente vuol dire essere poveri. Una metropoli da 12 milioni di abitanti, sporca, dove la gente si fa pere di eroina in mezzo alla strada, si prostituisce dalla più tenera età, non ha né luce né acqua per vivere è stato devastante. Lima è talmente tanto una città di merda (perdonatemi il latinismo) che nemmeno sotto tortura ci andrei a vivere. Com’è possibile che ci siano ancora persone che vivono così nel mondo?

D’altra parte la seconda tappa del viaggio è stata meravigliosa. Siamo andati a Iquitos, la più grande città peruviana irraggiungibile se non attraverso il Rio o con aereo. Da lì la nostra meravigliosa guida Basilio, cresciuto nella più assoluta povertà ma intelligente, colto, felice di imparare, ci ha portato per centinaia di chilometri con una barchetta lungo il Rio delle Amazzoni fino a raggiungere il nulla. E per una settimana ho vissuto con mio padre sugli alberi, tra tarantole e zanzare, anaconda, boa, tapiri obesi e animali che probabilmente Dio ha creato da sbronzo perché sembrano degli scherzi della natura. Ho pescato piranha e vissuto con 1 ora di elettricità al giorno, giusto per ricaricare la macchina foto, mangiando papaya e banane, riso e altri prodotti tipici.

Ho ritrovato le mie radici, chi l’avrebbe mai detto, nel mezzo del nulla, anzi del tutto! Della natura! Seppure il caldo e l’umidità fossero insopportabili è stato meraviglioso. E qua non posso che dire: grazie papà, grazie mamma, per essere dei medici fantastici e dei genitori insuperabili.


Concludo questa serie di racconti di viaggio con il più recente: (un pezzo del) Camino di Santiago! Fatto giusto un anno fa per festeggiare la fine degli esami con qualche compagno di università. E così zaino in spalla e con il minimo indispensabile dietro abbiamo preso il primo treno per Pamplona, da dove siamo partiti, per assistere a San Fermin, dove si fa la famosa corsa dei tori in mezzo alle vie della città. Il dubbio gusto degli spagnoli e i loro metodi di divertimento mi lasciano sempre sbigottita, ma che posso farci… dopo un paio di giorni passati a bere birra e guardare fuochi d’artificio vestiti di bianco e rosso, siamo partiti a piedi per la nostra avventura.

Abbiamo fatto 150 km circa in 5 giorni da Pamplona a Logroño, in Rioja, regione spagnola dei vini tra colline e lande, a luglio. Ora, non dico di essere stata fuori forma (anzi tutt’altro) ma se volete uccidervi e distruggervi ginocchia e piedi questo è il modo giusto: condensare una marea di chilometri a piedi, con a spalle uno zaino di 10 chili e 4 litri d’acqua (che non troverete per chilometri durante il viaggio, se non imbevibile da fontane a random). Esperienza sportiva non male devo dire,
mi sono anche innamorata di un paesino stupendo, Estella, antico, dove il mercato della domenica mattina e le caffetterie con pane e dolci appena sfornati mi hanno regalato una tranquillità fantastica.

Più che esperienza sportiva però per me è stata una vacanza meditativa: quando cammini per ore, anche se con amici, passi del tempo in silenzio pensando al passato, al presente e al futuro, a te stesso. I paesaggi rurali poi mi hanno riportata alla mia infanzia, quando giocavo nei campi delle langhe tra noccioli, boschi e vigneti, a quando mi arrampicavo sugli alberi per raccogliere fichi e ciliegie. Se poi si viaggia con amici il divertimento è assicurato! Quante risate ho fatto in compagnia dei miei impavidi e strampalati avventurieri, e delle persone incontrate durante il viaggio! Serate di musica, balli, risate e relax mi hanno scaldato il cuore, a me, che mi considero un animale solitario, asociale e scorbutico al massimo.

E così vi ho raccontato 3 dei miei viaggi più importanti: uno per il cuore, l’infanzia, l’altro per la mia passione e le mie origini, l’ultimo per la mia libertà. Eppure sono ancora in viaggio, lontana da casa, sola con me stessa e il mio desiderio di diventare una veterinaria e cambiare il mondo. Seppure le mie ambizioni siano grandi però e sia ancora giovane, attendo con ansia il momento in cui tornerò a casa e potrò godermi la mia tanto desiderata pace.

Per adesso, il mio viaggio continua. La mia meta? La felicità.


Ma ora lascio parlare voi, se avrete voglia di rispondere: quali sono stati i vostri viaggi più bello e/o significativi?

Lima, foto di copertina della mia tesina.

La città continuava a ricordarmi la Russia – le auto della polizia segreta irte di antenne; donne con fianchi massicci che leccavano gelati in parchi polverosi; le stesse statue gonfiate dalla retorica, l’architettura da torta nuziale, le stesse strade non proprio diritte, che danno l’ illusione dello spazio infinito e non portano in nessun posto.
(Bruce Chatwin, In Patagonia, 1977)


domenica 22 maggio 2016

Il peggio di internet #13


Eccoci di nuovo qua con la mia rubrica. Ditemi un po’, siete pronti per un po’ di schifezze pescate dal web? Ovviamente sì, ma penso vi ricrederete una volta terminato l’articolo.

CLASSIFICA DEL DISAGIO

#10 posto

All’ultimo posto metto una piccola riflessione con video. Uomini se avete 0 autostima a causa del vostro corpo, vi consiglio di guardarlo. Perché chi appare veramente ridicolo messo a nudo non siete voi nella vostra naturalezza, con i vostri difetti, bensì tutti quegli atleti, celebrità e compagnia che non hanno personalità e vivono di Photoshop. Un fisico basta Photoshop per renderlo universalmente bello, ma nessun programma potrà cambiare il vostro modo di essere.


Qua trovate il link al video e articolo completi:

#9 posto

Penultimo in classifica troviamo discutibili gusti in fatto di moda.





#8 posto

Margherita è la sua ragazza.



#7 posto

La cosa che mi sorprende di più è il logo ‘’rivoluzione cristiana’’ in basso a sinistra… ah, no aspetta, adesso tutto torna.


#6 posto

Vediamo quanto ci mettete a capire questa foto… sicuramente meno di molta la gente che ha pensato di esprimere la sua opinione su facebook.



#5 posto

Gemelli: quando sei davvero disperato e non vuoi fare brutta figura in giro.



#4 posto

C’è qualquadra che non cosa…


#3 posto

Coppie che riproducono copertine di romanzi erotici. O Dio del cielo…




#2 posto

Foto di famiglia!



Altre foto qua: 


And the winner is…

Questo coso orripilante che dovrebbe assomigliare a un… pene puccioso? Non so nemmeno se defirlo così…





E per gli imperdibili di questa settimana abbiamo una cosetta per voi nerd appassionati di film: la action figure di The Fog!!! Imperdibileeee!!!!!




Grazie per aver letto l’articolo e buon inizio settimana a tutti!!!!


giovedì 19 maggio 2016

Il ricordo di un cavallo


Cambiamo un po’ tema. Per una volta voglio parlarvi in maniera spontanea, improvvisata!

E dunque, stasera, dopo una giornata di merda, mi ero presa qualche minuto di tempo per vedere i nuovi post pubblicati su Google+. D’un tratto un’immagine mi colpisce, anzi una foto per essere precisi, di Michael Stephan (mai sentito in vita mia), dal titolo “White Horse at Sunrise”. Come potrete intuire, se le vostre conoscenze di inglese sono per lo meno basilari, ha come soggetto un cavallo bianco (che non è bianco ma grigio pomellato, per essere precisi), sereno, intento a guardarsi intorno immerso nelle sterpaglie di un prato all’alba.


Non so cosa sia scattato in me, ma ho trovato questa foto particolarmente bella e armoniosa. Mi ha fatto venire in mente un mio sogno di qualche anno fa, temporaneamente o forse per sempre accantonato, a seconda di cosa mi riserverà il futuro. Al tempo sognavo di poter avere una casa mia, una cascina magari, con dei prati intorno in modo che mi permettessero di tenere dei cavalli, liberi di pascolare.

Una cosa che mi sarebbe sempre piaciuto possedere, nella mia vita, è proprio una casa fuori città, in mezzo al verde, dove potessi coltivare i miei fiori, tra cui rose di ogni specie e gigli, tulipani, piante; un luogo dove potessi magari tenere qualche animale in libertà, qualche gallina per esempio (ho pure i nomi già!) per avere delle uova fresche da usare ogni giorno. E perché no, proprio anche un cavallo, come quello della fotografia, come quello che cavalcavo da bambina, quando andavo a fare equitazione con mio papà: un andaluso grigio pomellato.

Vedendo questa foto mi ero completamente dimenticata di questo mio sogno. Com’è possibile?! Era una delle cose che desideravo di più! Avevo persino disegnato i roseti del giardino abbinando specie, colori e profumi, pensato di costruire un pollaio coi fiocchi e guardato prezzi di cavalli, case, ecc.

È curioso come la vita, le occasioni e lo scorrere del tempo, a volte, ci facciano mettere alcuni sogni da parte, per quanto siano importanti. È stato come un flashback vedere questa foto. Mi sono rivista da bambina, felicissima, intenta a cavalcare una bestia meravigliosa con mio padre che fuori dal recinto mi faceva foto. Sono tornata indietro anche, a quando progettavo una vita insieme a una persona che credevo fosse quella giusta per me, a quando gli raccontavo cosa volevo fare nella vita, gli mostravo i miei disegni e schemi, condividevo le mie idee.

Il tempo passa, le cose cambiano, in meglio e in peggio, e come ballerini danziamo nel turbine di eventi della vita. C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità è oblio. È come se ci fosse una sorta di matematica esistenziale a controllare lo scorrere del tempo, dove questa esperienza, questo mio improvviso ricordo, assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale alla memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio.

E così, nel mio improvviso viaggio in terre straniere, in avvenimenti spiacevoli, esami da preparare, lavoro da svolgere, mi sono dimenticata di un sogno. Vedete di non fare il mio stesso errore. Non fatevi travolgere dalla frenesia della vita, prendetevi il tempo per realizzare i vostri sogni, o anche solo pensarli, per rasserenarvi al termine di una giornata infernale, poco prima di addormentarvi.


Non dimenticatevi i sogni. 

The essential joy of being with horses is that it brings us in contact with the rare elements of grace, brauty, spirit and fire.
Sharon Ralls Lemon

domenica 15 maggio 2016

Il peggio di internet #12


Eccoci alla dodicesima puntata! Scusate se la settimana scorsa ho rimandato ma ero piuttosto in ansia per un esame tremendo, che per fortuna è andato bene. Quindi oggi riprendiamo con il consueto scempio settimanale e godiamoci un po’ di degrado!

CLASSIFICA DEL DISAGIO

#10 posto

Ultimo in classifica questa settimana abbiamo una foto dagli Stati Uniti. Per la serie “Meanwhile, in Florida…”


#9 posto

Ancora acconciature orrende… ma basta!


#8 posto

Hipster: mi sa che stanno superando ogni limite…


#7 posto

Questa puntata sembra quasi dedicata all’estetica e alla cura della persona… ci mancano solo le unghie!


#6 posto

...e perchè non anche le scarpe?


#5 posto

Certo che i ricercatori italiani vengono visti di mal occhio… in pratica sono più rari delle mosche bianche!




#4 posto

 Photoshop: lo stai utilizzando in una maniera piuttosto inquietante.



E saliamo sul podio…

 #3 posto

Tatuaggi: ma per lo meno fateli sensati per l’amor del cielo!

 La medaglia d’argento va a…

Come rimuovere un calzino… e mezzo piede, in pochi semplici passi.



And the winner is…

Non ho parole per descriverlo, sinceramente…





E per tutti voi cari lettori, questa settimana abbiamo un’offerta imperdibile! Il solo e unico silenziatore di scoregge! Direttamente dalla Francia vi arriverà questo coso colorato a salvarvi da imbarazzanti situazioni. Affrettatevi, l’offerta è limitata!




venerdì 13 maggio 2016

Una favola della buona notte


In questi giorni mi chiedevo: “Perché non pubblicare qualche poesia o racconto?”, non mi sembra una cattiva idea in fondo, dopotutto pubblico sempre e solo articoli scemi o che trattano di scienza.

Ma allora perché non pubblicare favole? Per bambini! O racconti o altro ancora, la sera prima di andare a dormire. Ed eccomi qui a condividere con voi il mio lato “emotivo”, testi che hanno caratterizzato la mia infanzia e la mia vita. Oggi vi propongo “A inventare i numeri”, favola di Gianni Rodari che fa parte della raccolta Favole al Telefono, del 1962, che mio padre mi leggeva da piccola e di cui ricordo molte favole a memoria (come questa).

Per giunta non sono le solite favole, ma sono folli, pazzie, senza senso. Meravigliose! Proprio come la mente dei bambini e proprio come ogni adulto. E quindi oggi inventiamo numeri!

A inventare i numeri

         - Inventiamo dei numeri?
       - Inventiamoli, comincio io. Quasi uno, quasi due, quasi tre, quasi quattro, quasi cinque, quasi sei.
    - È troppo poco. Senti questi: uno stramilione di biliardoni, un ottone di millantoni, un meravigliardo e un meraviglione.
        - Io allora inventerò una tabellina:
                                       tre per uno Trento e Belluno
                                       tre per due bistecca di bue
                                       tre per tre latte e caffè
                                       tre per quattro cioccolato
                                       tre per cinque malelingue
                                       tre per sei patrizi e plebei
                                       tre per sette torta a fette
                                       tre per otto piselli e risotto
                                       tre per nove scarpe nuove
                                       tre per dieci pasta e ceci.
          - Quanto costa questa pasta?
          - Due tirate d'orecchi.
          - Quanto c'è da qui a Milano?
          - Mille chilometri nuovi, un chilometro usato e sette cioccolatini.
          - Quanto pesa una lacrima?
       - Secondo: la lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.
          - Quanto è lunga questa favola?
          - Troppo.
       - Allora inventiamo in fretta altri numeri per finire. Li dico io, alla maniera di Modena: unci dunci trinci, quara quarinci, miri miminci, un fan dès.
         - E io li dico alla maniera di Roma: unzi donzi trenzi, quale qualinzi, mele melinzi, riffe raffe e dieci.



Spero vi sia piaciuta, e ora vi chiedo: che favole o libri vi leggevano i vostri genitori quando eravate bambini?

Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: - Buon Viaggio!


Il giovane Gambero, Favole al Telefono

giovedì 12 maggio 2016

Storia della chirurgia: parte seconda



Mi sto prendendo un po’ di tempo per pubblicare i post ultimamente, visto che sono stata sommersa da esami e lavoro. A breve partirà anche una parte dedicata alle poesie che spero vi piacerà!

E dunque veniamo a questa nuova puntata. Devo ammettere di essere sempre più entusiasta di questa storia! La chirurgia è davvero un’arte, specialmente se la si conosce e la si pratica. Personalmente posso dirvi che mette molta ansia e richiede manualità, nervi saldi e concentrazione. Ma sono ancora alle prime armi in questo campo, spero però un giorno di diventare una maestra, anche se si tratta di animali.

Nella prima puntata abbiamo visto com’è nata la chirurgia, molto brevemente. Vi ho parlato degli egizi e dei greci, di come fossero primitive le loro tecniche chirurgiche (per non parlare di quelle mediche in generale!) concludendo con la teoria degli umori di Ippocrate, padre della stessa medicina. Oggi dunque riprendo proprio da lui e dai suoi seguaci e arriverò fino al periodo buio della scienza: il Medioevo.

E quindi non posso che augurarvi buona lettura ;)



Storia della chirurgia: 2ª parte

Dalla Roma imperiale al Medioevo


La civiltà ci ha sottratti alle spade, per farci meglio sentire la paura dei chirurghi.

Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, 1979

Il primo chirurgo da ricordare ai tempi della Roma antica è Celso, che nel I secolo d.C. importò tecniche chirurgiche dai greci, operando con un discreto successo calcoli vescicali e cataratta. Fu il primo personaggio della storia latina a scrivere un trattato di medicina, il De Re Medica dove narra le diverse tecniche chirurgiche e strumenti utilizzati, trattamenti per fratture, ferite di guerra ed emorragie e descrive il personaggio de chirurgo ideale:

Il chirurgo deve essere non lontano dalla giovinezza, avere la mano ferma e rapida, non esitante, e rapida la destra come la sinistra; vista acuta e chiara, aspetto tranquillo e rassicurante, il cui desiderio sia quello di curare il paziente e, a sua volta, non lasciare che le sue grida lo facciano esitare più di quanto non richiedano le circostanze, né tagliare meno del necessario e agire come se fosse indifferente alle urla del paziente.

Leggendo la descrizione potete immaginare che il prospetto non fosse dei migliori: la sopravvivenza dei pazienti era molto bassa, e l’uso di anestetici o antidolorifici non era d’uso comune. Infatti tra il 650 a.C. e il 393 d.C. le tecniche per anestetizzare i pazienti prevedevano portare i pazienti nelle prossimità di siti geologici, considerati sacri in molti casi come il Tempio di Apollo a Delfi, situato vicino a una faglia da cui fuoriusciva ossido di etilene.
Si pensava che appoggiarsi all’aiuto degli Dei per operazioni complesse, e specialmente se implicavano personaggi importati, favorisse il successo della chirurgia e questo è vero in parte. L’ossido di etilene infatti viene usato ancora oggi per sterilizzare materiali chirurgici, poiché ha un’azione battericida e fungicida. Inoltre quella che veniva riconosciuta come “anestesia” non era altro che l’effetto dei gas naturali respirati, come per esempio anidride carbonica, metano, solfuro di idrogeno, azoto, ecc.

In alternativa ai gas inalati, pratica più comune per effettuare un’anestesia comprendeva l’utilizzo di radici di mandragora bollite nel vino per provocare uno stato di incoscienza e insensibilità nelle persone che dovevano sottoporsi a interventi. Questo metodo però fu introdotto solo a partire dal 64 d.C. da Dioscoride, medico e botanico greco che fu anche chirurgo nell’esercito di Nerone.

Un secolo dopo Celso è il turno di Sorano di Efeso, di origini greche, fondatore dell’ostetricia e la ginecologia, autore di un trattato “Sulle malattie delle donne” e promotore di nuovi metodi per il trattamento di fratture e l’applicazione di bendaggi. Galeno, dopo Sorano, fu uno dei medici più importanti nell’antica Roma: descriveva la chirurgia come la “terza via” della medicina, ossia la terza soluzione, dopo la dietetica e i farmaci. Ma come medico apparteneva ancora alla vecchia scuola di Ippocrate, basata sulla teoria degli umori per cui l’origine delle malattie si poteva attribuire ai diversi stati umorali, alla personalità. Molti furono i suoi errori da un punto di vista medico e chirurgico, ma bisogna considerare anche che a quei tempi gli studi sull’anatomia umana erano difficoltati dalle leggi romane, che proibivano le autopsie sulle persone.  La chirurgia quindi era l’unico metodo per descrivere e studiare l’anatomia umana.

Coetaneo di Celso, Areteo di Cappadocia fu anche lui un chirurgo, seppur di poca fama, e apportò una notevole evoluzione alla medicina e alla chirurgia: descrisse infatti per primo il diabete, la celiachia, il tetano e l’epilessia, oltre ad essere stato uno dei primi a interessarsi di psicologia descrivendo i disturbi bipolari della personalità, fobie (come l’agorafobia).
Si interessò inoltre di emicrania e cefalee, studia la difterite, l’asma e molto altro ancora.

La melanconia costituisce l’inizio della Mania e ne è parte integrante […]. Lo sviluppo della Mania rappresenta un peggioramento della melanconia piuttosto che il passaggio a una patologia differente.
Areteo di Cappadocia, De causis et signis acutorum morbum

Areteo però viene quasi dimenticato, con i suoi trattati e le sue innovazioni. La medicina continua a evolvere ma non in ambito chirurgico, dove le innovazioni sono davvero pochissime e influenzate solo dalla scoperta di nuove patologie come gli aneurismi.

Per secoli si continuerà a seguire gli insegnamenti di Galeno, di cui vi ho parlato nella precedente puntata, e qua giungiamo al V secolo d.C., inizio di un’epoca in parte buia per le scienze, il Medioevo. Sono i monaci che in questo periodo esercitano la chirurgia nei conventi, fino al momento in cui la Chiesta non pone un veto sull’esercizio di questa scienza, dovuto al fatto che la guarigione fosse considerata un intervento divino.


Così la chirurgia si ferma improvvisamente, finché nella scuola di Salerno non inizia a svilupparsi una forma di medicina laica. Lì veniva esercitata da ebrei e laici anche su cadaveri, che però acquistano la cattiva fama di “cavadenti”, “conciaossa” e ciarlatani.
La chirurgia quindi si apre a tutti i curiosi, letterati, istruiti e non, come i norcini, macellai di maiali originari di Norcia, in Umbria, che si cimentarono con un discreto successo nella chirurgia del tempo.

Se nel mondo cristiano medievale la chirurgia si era bloccata, nel mondo arabo si stava sviluppando grazie a medici come Albucasis che nel X secolo introdusse e descrisse il concetto di traumatologia e chirurgia specialistica, scrivendo diversi trattati dedicati a questo mondo e persino un’enciclopedia dedicata alla medicina e alla chirurgia.

Nel feudalesimo permane il veto della Chiesa, quindi la medicina e la chirurgia vengono insegnate solo a livello teorico nelle scuole e università ma fortemente influenzata dalla dottrina cristiana.
Dopo la scuola di Salento si fondano altre università per istruire gli uomini sulla medicina e la chirurgia, una delle più importanti fu quella di Bologna che vede tra i docenti figure come Guglielmo da Saliceto, folle medico che cercò di divulgare le sue teorie in merito alla chirurgia, sostenendo per esempio che per curare un cancro bisognava estirpare l’organo intero, poiché causato dal sangue “melancolico” delle vene adiacenti. La teoria dell’umore non era ancora stata abbandonata.
Si distingue però uno dei suoi alunni più brillanti, originario di Firenze, conosciuto come Lanfranco da Milano, che a causa della guerra tra Guelfi e Ghibellini, fu costretto a scappare in Francia, a Lione: il suo successo fu talmente grande che divenne presto il chirurgo personale di Filippo il Bello, venendo sostituito da Henri de Mondeville che cercò di unificare la medicina come sapere con la chirurgia. Fu il primo chirurgo a imbattersi nelle ferite da armi da fuoco, introdotte dagli inglesi nel 1346 durante la battaglia di Crecy, nonché una delle più importanti della guerra dei cent’anni.



A quei tempi per tranquillizzare i pazienti venivano ancora utilizzate sostanze ricavate dalla mandragora e altre erbe, in una preparazione chiamata Spongia soporifera, che non si trattava altro che di una spugna imbevuta di estratti ricavati da erbe medicinali e oppio. Da un punto di vista anestetico, non era stato ancora fatto nessun passo avanti.

Siamo ormai alla fine del XIV secolo, il Medioevo sta tramontando: in Inghilterra si scrivono trattati sugli errori commessi durante le operazioni chirurgiche e le differenze tra medici e chirurghi, fino a giungere nel 1368, anno in cui a Londra viene fondato l’Ordine dei chirurghi, per separare i medici specializzati dalle altre classi sociali di apprendisti, come i barbieri che si definivano cerusici (sinonimo antico di chirurghi), addetti all’estrazione di denti, salassi e altri piccoli interventi che però con i metodi del tempo risultavano dolorosissimi e spesso fatali.
Ma di questo e altro ve ne parlerò nella prossima puntata.

Spero vi sia piaciuto questo articolo, per eventuali approfondimenti non esitate a chiedere!
Per chi fosse interessato aggiungo il link ad alcuni libri e articoli in fracese e in inglese, scaricabili in PDF, piuttosto datati, ma che potrebbero interessarvi: