Mi sto prendendo un po’ di tempo per pubblicare i post
ultimamente, visto che sono stata sommersa da esami e lavoro. A breve partirà
anche una parte dedicata alle poesie che spero vi piacerà!
E dunque veniamo a questa nuova puntata. Devo ammettere
di essere sempre più entusiasta di questa storia! La chirurgia è davvero un’arte,
specialmente se la si conosce e la si pratica. Personalmente posso dirvi che
mette molta ansia e richiede manualità, nervi saldi e concentrazione. Ma sono
ancora alle prime armi in questo campo, spero però un giorno di diventare una
maestra, anche se si tratta di animali.
Nella prima puntata abbiamo visto com’è nata la
chirurgia, molto brevemente. Vi ho parlato degli egizi e dei greci, di come
fossero primitive le loro tecniche chirurgiche (per non parlare di quelle
mediche in generale!) concludendo con la teoria degli umori di Ippocrate, padre
della stessa medicina. Oggi dunque riprendo proprio da lui e dai suoi seguaci e
arriverò fino al periodo buio della scienza: il Medioevo.
E quindi non posso che augurarvi buona lettura ;)
Storia della chirurgia: 2ª parte
Dalla Roma imperiale al Medioevo
La civiltà ci ha sottratti alle spade, per farci meglio sentire la paura dei
chirurghi.
Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, 1979
Il primo chirurgo da ricordare ai tempi della Roma
antica è Celso, che nel I secolo
d.C. importò tecniche chirurgiche dai greci, operando con un discreto successo
calcoli vescicali e cataratta. Fu il primo personaggio della storia latina a
scrivere un trattato di medicina, il De Re Medica dove narra le diverse
tecniche chirurgiche e strumenti utilizzati, trattamenti per fratture, ferite
di guerra ed emorragie e descrive il personaggio de chirurgo ideale:
Il chirurgo deve essere non lontano dalla giovinezza, avere la mano ferma e rapida, non esitante, e rapida la destra come la sinistra; vista acuta e chiara, aspetto tranquillo e rassicurante, il cui desiderio sia quello di curare il paziente e, a sua volta, non lasciare che le sue grida lo facciano esitare più di quanto non richiedano le circostanze, né tagliare meno del necessario e agire come se fosse indifferente alle urla del paziente.
Leggendo la descrizione
potete immaginare che il prospetto non fosse dei migliori: la sopravvivenza dei
pazienti era molto bassa, e l’uso di anestetici o antidolorifici non era d’uso
comune. Infatti tra il 650 a.C. e il 393 d.C. le tecniche per anestetizzare i
pazienti prevedevano portare i pazienti nelle prossimità di siti geologici,
considerati sacri in molti casi come il Tempio di Apollo a Delfi, situato
vicino a una faglia da cui fuoriusciva ossido di etilene.
Si
pensava che appoggiarsi all’aiuto degli Dei per operazioni complesse, e specialmente
se implicavano personaggi importati, favorisse il successo della chirurgia e
questo è vero in parte. L’ossido di etilene infatti viene usato ancora oggi per
sterilizzare materiali chirurgici, poiché ha un’azione battericida e fungicida.
Inoltre quella che veniva riconosciuta come “anestesia” non era altro che l’effetto
dei gas naturali respirati, come per esempio anidride carbonica, metano, solfuro
di idrogeno, azoto, ecc.
In
alternativa ai gas inalati, pratica più comune per effettuare un’anestesia comprendeva
l’utilizzo di radici di mandragora bollite nel vino per provocare uno stato di
incoscienza e insensibilità nelle persone che dovevano sottoporsi a interventi.
Questo metodo però fu introdotto solo a partire dal 64 d.C. da Dioscoride,
medico e botanico greco che fu anche chirurgo nell’esercito di Nerone.
Un
secolo dopo Celso è il turno di Sorano di Efeso, di origini greche, fondatore
dell’ostetricia e la ginecologia, autore di un trattato “Sulle malattie delle donne” e promotore di nuovi metodi per il
trattamento di fratture e l’applicazione di bendaggi. Galeno, dopo Sorano, fu
uno dei medici più importanti nell’antica Roma: descriveva la chirurgia come la
“terza via” della medicina, ossia la terza soluzione, dopo la dietetica e i
farmaci. Ma come medico apparteneva ancora alla vecchia scuola di Ippocrate, basata
sulla teoria degli umori per cui l’origine delle malattie si poteva attribuire
ai diversi stati umorali, alla personalità. Molti furono i suoi errori da un
punto di vista medico e chirurgico, ma bisogna considerare anche che a quei
tempi gli studi sull’anatomia umana erano difficoltati dalle leggi romane, che
proibivano le autopsie sulle persone. La
chirurgia quindi era l’unico metodo per descrivere e studiare l’anatomia umana.
Coetaneo
di Celso, Areteo di Cappadocia fu anche lui un chirurgo, seppur di poca fama, e
apportò una notevole evoluzione alla medicina e alla chirurgia: descrisse
infatti per primo il diabete, la celiachia, il tetano e l’epilessia, oltre ad
essere stato uno dei primi a interessarsi di psicologia descrivendo i disturbi
bipolari della personalità, fobie (come l’agorafobia).
Si
interessò inoltre di emicrania e cefalee, studia la difterite, l’asma e molto
altro ancora.
La melanconia costituisce l’inizio della Mania e ne è parte integrante […]. Lo sviluppo della Mania rappresenta un peggioramento della melanconia piuttosto che il passaggio a una patologia differente.
Areteo di
Cappadocia, De causis et signis acutorum
morbum
Areteo
però viene quasi dimenticato, con i suoi trattati e le sue innovazioni. La medicina
continua a evolvere ma non in ambito chirurgico, dove le innovazioni sono
davvero pochissime e influenzate solo dalla scoperta di nuove patologie come
gli aneurismi.
Per
secoli si continuerà a seguire gli insegnamenti di Galeno, di cui vi ho parlato
nella precedente puntata, e qua giungiamo al V secolo d.C., inizio di un’epoca in
parte buia per le scienze, il Medioevo. Sono i monaci che in questo periodo
esercitano la chirurgia nei conventi, fino al momento in cui la Chiesta non
pone un veto sull’esercizio di questa scienza, dovuto al fatto che la
guarigione fosse considerata un intervento divino.
Così
la chirurgia si ferma improvvisamente, finché nella scuola di Salerno non
inizia a svilupparsi una forma di medicina laica. Lì veniva esercitata da ebrei
e laici anche su cadaveri, che però acquistano la cattiva fama di “cavadenti”,
“conciaossa” e ciarlatani.
La
chirurgia quindi si apre a tutti i curiosi, letterati, istruiti e non, come i
norcini, macellai di maiali originari di Norcia, in Umbria, che si cimentarono
con un discreto successo nella chirurgia del tempo.
Se
nel mondo cristiano medievale la chirurgia si era bloccata, nel mondo arabo si
stava sviluppando grazie a medici come Albucasis che nel X secolo introdusse e
descrisse il concetto di traumatologia e chirurgia specialistica, scrivendo
diversi trattati dedicati a questo mondo e persino un’enciclopedia dedicata
alla medicina e alla chirurgia.
Nel
feudalesimo permane il veto della Chiesa, quindi la medicina e la chirurgia
vengono insegnate solo a livello teorico nelle scuole e università ma
fortemente influenzata dalla dottrina cristiana.
Dopo
la scuola di Salento si fondano altre università per istruire gli uomini sulla
medicina e la chirurgia, una delle più importanti fu quella di Bologna che vede
tra i docenti figure come Guglielmo da Saliceto, folle medico che cercò di
divulgare le sue teorie in merito alla chirurgia, sostenendo per esempio che
per curare un cancro bisognava estirpare l’organo intero, poiché causato dal
sangue “melancolico” delle vene adiacenti. La teoria dell’umore non era ancora
stata abbandonata.
Si
distingue però uno dei suoi alunni più brillanti, originario di Firenze,
conosciuto come Lanfranco da Milano, che a causa della guerra tra Guelfi e
Ghibellini, fu costretto a scappare in Francia, a Lione: il suo successo fu
talmente grande che divenne presto il chirurgo personale di Filippo il Bello,
venendo sostituito da Henri de Mondeville che cercò di unificare la medicina
come sapere con la chirurgia. Fu il primo chirurgo a imbattersi nelle ferite da
armi da fuoco, introdotte dagli inglesi nel 1346 durante la battaglia di Crecy,
nonché una delle più importanti della guerra dei cent’anni.
A quei
tempi per tranquillizzare i pazienti venivano ancora utilizzate sostanze ricavate
dalla mandragora e altre erbe, in una preparazione chiamata Spongia soporifera, che non si trattava
altro che di una spugna imbevuta di estratti ricavati da erbe medicinali e
oppio. Da un punto di vista anestetico, non era stato ancora fatto nessun passo
avanti.
Siamo
ormai alla fine del XIV secolo, il Medioevo sta tramontando: in Inghilterra si
scrivono trattati sugli errori commessi durante le operazioni chirurgiche e le
differenze tra medici e chirurghi, fino a giungere nel 1368, anno in cui a
Londra viene fondato l’Ordine dei chirurghi, per separare i medici specializzati
dalle altre classi sociali di apprendisti, come i barbieri che si definivano
cerusici (sinonimo antico di chirurghi), addetti all’estrazione di denti,
salassi e altri piccoli interventi che però con i metodi del tempo risultavano
dolorosissimi e spesso fatali.
Ma
di questo e altro ve ne parlerò nella prossima puntata.
Spero
vi sia piaciuto questo articolo, per eventuali approfondimenti non esitate a
chiedere!
Per
chi fosse interessato aggiungo il link ad alcuni libri e articoli in fracese e
in inglese, scaricabili in PDF, piuttosto datati, ma che potrebbero
interessarvi:
Ciao Anna,
RispondiEliminaDavvero interessante questo articolo, ci sono un sacco di cose che non sapevo.
Quindi stai facendo pratica di chirurgia?
Vero? È una storia interessante ma molto complessa e piena di sfumature su cui non mi soffermo troppo.
EliminaSi ho iniziato semplici pratiche di chirurgia nell'ospedale della mia università, quest'estate però inizio il mio tirocinio e farò più pratica :)
È un'ottima cosa. Il nostro tirocinio ha fatto ridere i polli. Praticamente non abbiamo fatto nulla e sono pochissime ore... se non ci attrezziamo autonomamente praticamente usciamo dall'università senza saper fare una sottocutanea... -_-
EliminaDecisamente! Mi è stato detto in effetti che è molto difficile assumere neolaureati in veterinaria italiani perchè mancano tremendamente di pratica ed esperienza o proprio non hanno mai messo piede in una clinica. Il che è assurdo, francamente, com è possibile che il sistema universitario non offra la preparazione pratica fondamentale per una buona professione? Ma ancora peggio, com è possibile che nessuno abbia voglia di imparare il proprio lavoro e formarsi?
EliminaA me sembra assurdo...
A dire il vero noi la voglia ce l'avremmo, è che non ci danno la possibilità di fare pratica in facoltà, infatti spesso e volentieri siamo noi stessi che chiediamo ad amici veterinari di prenderci a fare un po' di praticantato....
EliminaNo, non è assurdo... di più.
No no ma infatti distinguo le ''due'' categorie di studenti, cioè quelli che non hanno voglia di fare niente (e spesso è gente rifiutata a medicina o altre università che si arrangia) o chi vorrebbe ma non ne ha la possibilità. È davvero un grosso dispiacere perchè la nostra professione rappresenta uno dei capi saldi della società! E al di là di questo ci vuole voglia e passione... e molta, molta forza e pazienza!
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