Ecco uno dei primi re-post dal mio vecchio blog. Oggi vi parlo di un tema un po' particolare proponendovi una mia riflessione su cosa l’ uomo
stia diventando. Dunque...
È
l’ uomo che si sta trasformando in macchina o la macchina che sta diventando
uomo?
Inizio
questa riflessione con la fine di un meraviglioso libro di Luigi Pirandello: “Quaderni
di Serafino Gubbio operatore”. Opera molto poco conosciuta di questo
incredibile autore, ma molto profonda soprattutto per quanto riguarda il
rapporto tra l’ uomo e la macchina. Nel gran finale, il protagonista, Serafino,
operatore della macchina da presa (o cameramen come diremmo noi oggi), si
immedesima con la cinepresa a tal punto da riprendere un terribile incidente
sul set, dove una tigre scappa e sbrana parte della troupe e degli attori,
senza scappare o reagire. Serafino rimane muto, continuando a girare la
manovella e guardando la scena non con occhi d’ uomo ma di macchina.
Eccone
un estratto:
- Attenti, si gira!E io mi misi a girare la manovella, con gli occhi ai tronchi in fondo, da cui già spuntava la testa della belva, bassa, come protesa a spiare in agguato; vidi quella testa piano ritrarsi indietro, le due zampe davanti restar ferme, unite, e quelle di dietro a poco a poco silenziosamente raccogliersi e la schiena tendersi ad arco per spiccare il salto. La mia mano obbediva impassibile alla misura che io imponevo al movimento, più presto, più piano, pianissimo, come se la volontà mi fosse scesa - ferma, lucida, inflessibile - nel polso, e da qui governasse lei sola, lasciandomi libero il cervello di pensare, il cuore di sentire; così che seguitò la mano a obbedire anche quando con terrore io vidi il Nuti distrarre dalla belva la mira e volgere lentamente la punta del fucile là dove poc'anzi aveva aperto tra le frondi lo spiraglio, e sparare, e la tigre subito dopo lanciarsi su lui e con lui mescolarsi, sotto gli occhi miei, in un orribile groviglio.
Più forti delle grida altissime levate da tutti gli attori fuori della gabbia accorrenti istintivamente verso la Nestoroff caduta al colpo, più forti degli urli di Carlo Ferro, io udivo qua nella gabbia il sordo ruglio della belva e l'affanno orrendo dell'uomo che s'era abbandonato alle zanne, agli artigli di quella, che gli squarciavano la gola e il petto; udivo, udivo, seguitavo a udire su quel ruglio, su quell'affanno là, il ticchettìo continuo della macchinetta, di cui la mia mano, sola, da sé, ancora, seguitava a girare la manovella; e m'aspettavo che la belva ora si sarebbe lanciata addosso a me, atterrato quello; e gli attimi di quell'attesa mi parevano eterni e mi pareva che per l'eternità io li scandissi girando, girando ancora la manovella, senza poterne fare a meno, quando un braccio alla fine s'introdusse tra le sbarre armato di rivoltella e tirò un colpo a bruciapelo in un'orecchia della tigre sul Nuti già sbranato; e io fui tratto indietro, strappato dalla gabbia con la manovella della macchinetta così serrata nel pugno, che non fu possibile in prima strapparmela.Non gemevo, non gridavo: la voce, dal terrore, mi s'era spenta in gola, per sempre.
(…) Girare, ho girato. Ho mantenuto la parola: fino all’ultimo. Ma la vendetta che ho voluto compiere dell'obbligo che m'è fatto, come servitore d'una macchina, di dare in pasto a questa macchina la vita, sul più bello la vita ha voluto ritorcerla contro me. Sta bene. Nessuno intanto potrà negare ch'io non abbia ora raggiunto la mia perfezione.
Come operatore, io sono ora, veramente, perfetto.
Dopo circa un mese dal fatto atrocissimo, di cui ancora si parla da per tutto, conchiudo queste mie note.
Una penna e un pezzo di carta: non mi resta più altro mezzo per comunicare con gli uomini. Ho perduto la voce; sono rimasto muto per sempre. In una parte di queste mie note sta scritto: “Soffro di questo mio silenzio, in cui tutti entrano come in un luogo di sicura ospitalità. Vorrei ora che il mio silenzio si chiudesse del tutto intorno a me”. Ecco, s'è chiuso. Non potrei meglio di cosìimpostarmi servitore d'una macchina.
Non
è forse vero che Pirandello ha anticipato quella che oggi è diventata la nostra
quotidianità? Non è forse vero che noi la realtà e il mondo ormai li guardiamo
con gli occhi di una macchina?
Pensiamo
alla televisione, al telefono e al computer per esempio, ormai sono loro che
scrivono la vita e il destino degli uomini, che ci mostrano quello che sono
veramente gli uomini. E rimaniamo impassibili, ormai, di fronte alla vita
stessa, continuando a guardare e percependo appena il passaggio dell’
esistenza, finché non è il fato a fermarci.
Turing
sognava di creare una macchina che fosse indistinguibile dall’ uomo. Non siamo
forse giunti a questo punto ormai?
Le
macchine guardano il mondo con occhi più umani dei nostri, ci dicono cosa
succede e come dobbiamo reagire, ci dicono come ci comportiamo, cosa e come dobbiamo
pensare. Come macchine.
Chi
è dunque veramente umano, l’ uomo o la macchina?
A
questo domanda vorrei rispondere citando una serie di film (anime) che trovo
davvero molto belli: Arise - Ghost in The Shell (ne farò
un’ accurata recensione e descrizione prossimamente, perché è davvero un anime
fantastico, ma molto complesso da spiegare e raccontare).
Si
parla così di una linea di confine tra umani e macchine, o meglio cyborg e robot,
visto che di umano non rimangono che i sentimenti, le sensazioni, la pelle e il
cervello.
Cosa
differenza noi umani da una qualunque macchina?
Forse solo la presenza di
tessuti organici, o l’ anima. Ma sappiamo dare una vera definizione dell’
anima? Cosa sono i ricordi, le emozioni e le esperienze che abbiamo “vissuto”?
Che siano esperienze simulate o sogni, le informazioni sono al tempo stesso realtà e fantasia. E, in ogni caso, tutti i dati che una persona accumula durante il corso della propria esistenza non sono che una goccia nel mare.
(Ghost in the
Shell- Stand Alone Complex)
Il
pensiero, la fantasia, la creatività. Ecco cosa ci distingue da un qualunque
ammasso di pezzi di ferro e fili. Però possiamo dire veramente che TUTTI coloro
che noi definiamo uomini li possiedano? Io credo di no, molte persone oggi non
pensano con il proprio cervello, ma attraverso uno schermo o una tastiera,
fanno “copia-incolla” di ciò che leggono, e parlano attraverso dei pixel, senza
consapevolezza dell’ esistenza, guardano il cielo da uno
schermo, e la vita da
dietro un muro, senza distogliere lo sguardo. Quando poi uno “schiavo”
liberatosi da questo schermo scopre la realtà e cerca di trasmetterla ai suoi
vecchi compagni, essi lo deridono, lo isolano e lo uccidono, credendolo un
bugiardo. Proprio come il mito della Caverna di Platone. Ma noi, invece di essere incatenati mani e
piedi e costretti a vedere nulla più che ombre, siamo legati dall’ ignoranza,
dal pregiudizio ad un semplice pezzo di metallo. E lo guardiamo, sperando che
esso ci conduca alla felicità e alla realtà, che ci dia delle risposte a delle
domande che non conosciamo neanche. Perdiamo consapevolezza della vita, ogni
singolo giorno, e registriamo come cineprese quello che ci è posto davanti, che
sia bello o brutto, vero o falso.
E
dell’ anima non rimane che un’ impercettibile respiro, perché ormai schiavi di
macchine che noi stessi abbiamo creato.
L’
uomo e la macchina sono dunque divenuti il medesimo essere? Siamo solo macchine
che creano altre inutili macchine?
Cogito ergo sum, penso quindi sono, umano, troppo umano o forse nulla più di una macchina.
(mia discutibilissima idea)
Da un punto di vista puramente funzionale, il corpo umano è una macchina: si possono riconoscere hard disk, RAM, trasduttori, pompe idrauliche, fabbriche energetiche, cavi elettrici...
RispondiEliminaAllora qual è la differenza tra un uomo e una macchina?
Che l'uomo è una gestalt, non è la semplice somma delle parti, c'è di più ed è questo che ci rende superiore a una macchina, il trascendere la nostra componentistica.
Ma riusciremo mai a creare una macchina in grado di essere piu umana di noi? Forse si, un giorno lontano, ma per il momento bastiamo noi con i mille bug e virus che ci ritroviamo!
EliminaBuongiorno, sono un laureando in piena tesi. Setacciando il materiale da usare nel mio lavoro, che riguarda Luigi Pirandello e l'attualità ormai assuefatta con la tecnologia e la solitudine degli uomini.
RispondiEliminaLa mia attenzione è caduta proprio sul vostro blog e ritengo veramente interessante ed esauriente la sua visione dell'opera dello scrittore, in particolare l'immagine a inizio blog, molto d'impatto.
La scrivo per chiedere la sua autorizzazione nel prendere alcuni pezzi (ovviamente modificati per entrare in linea con la mia tesi) e l'immagine per arricchire il testo.
Ovviamente sarai citata nella mia bibliografia.
Mi faccia sapere se è d'accordo. La ringrazio per l'attenzione e le porgo i miei più sentiti saluti.